DR.SSA SARA CAMPOLONGHI - SPECIALISTA NELLA GESTIONE DEL PESO

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martedì 19 aprile 2011

IL CIBO DELL'UOMO

Quale debba essere il cibo dell‟uomo ce lo dice la Bibbia, quando al sesto giorno della creazione Dio dice: “vi do tutte le piante con i loro semi… così avrete il vostro cibo”.1 Gli scienziati e i medici di oggi, però, abbagliati dai nuovi dogmi della biologia, non danno molta importanza alle parole della Bibbia. La chiesa ha contribuito non poco, fin dai tempi della persecuzione di Galileo, a togliere credibilità ad una fonte storica e antropologica importantissima sulla natura dell‟uomo, del suo cibo, e del suo posto nel mondo. Ma gli uomini di scienza badano poco alla storia; sono convinti che la chimica e la biologia moderna siano sufficienti a guidare le scelte alimentari dell‟uomo, e mentre rincorrono affannosamente nuove tecniche per rispondere a quesiti sempre più fini sui meccanismi molecolari che sottostanno alle funzioni complesse della vita, anche per modificarli con farmaci specifici, spesso dimenticando gli esperimenti di ieri, necessariamente più grossolani, ma spesso più vicini alla realtà della vita.
Il primo grande esperimento sull‟alimentazione dell‟uomo è riferito proprio dalla Bibbia. Il giovane Daniele e altri rampolli di nobili famiglie di Israele erano stati fatti prigionieri da Nabucodonosor, il quale voleva però che fossero trattati con tutti i riguardi e ordinò ad Asfenez, l‟eunuco di corte, che fossero nutriti con il cibo e il vino del re. Daniele e i suoi compagni si rifiutarono e pretesero acqua, cereali e legumi, com‟erano abituati, e rassicurarono Asfenez, che temeva di incorrere nell‟ira del tiranno, dicendogli che facesse la prova, e che li avrebbe visti più belli e più forti degli stessi figli del re.
I popoli della terra hanno sempre saputo, da quando gli dei hanno loro insegnato a coltivare i campi, che i cereali, con i legumi e occasionalmente altri semi, sono l‟alimento base dell‟uomo. Nelle Americhe ancora oggi i poveri mangiano tortillas e fagioli neri, in Nord Africa semola di grano (il cuscus) e ceci, in Africa nera miglio e arachidi, in Oriente riso e soia, e anche da noi riso e lenticchie o pasta e fagioli. I cereali, purché mangiati nella loro integralità, associati ai legumi e ad una certa quota di semi oleosi e di verdure, e occasionalmente a cibo animale, offrono una perfetta combinazione alimentare, con la giusta quantità di carboidrati, che ci garantiscono una costante disponibilità di energia per la vita quotidiana, di proteine complete di tutti gli aminoacidi indispensabili per il ricambio delle strutture cellulari, di grassi di buona qualità, che assicurano il funzionamento di complessi sistemi biofisici e biochimici che controllano l‟equilibrio dell‟organismo, di fibre indigeribili che nutrono migliaia di miliardi di microbi che convivono nel nostro intestino contribuendo alla nostra nutrizione e alla nostra salute, di vitamine, di sali minerali e di un‟infinità di altri fattori che da un lato sono indispensabili al corretto svolgimento di reazioni chimiche vitali e dall‟altro ci proteggono da sostanze tossiche estranee o prodotte dal nostro stesso metabolismo.

Nei paesi occidentali ricchi, soprattutto nel corso dell‟ultimo secolo, lo stile alimentare si è progressivamente discostato da questo schema tradizionale dell‟alimentazione dell‟uomo per privilegiare cibi che un tempo erano mangiati solo eccezionalmente, come molti cibi animali (carni e latticini), o che non erano neanche conosciuti, come lo zucchero, le farine molto raffinate (come si riesce a ottenerle solo con le macchine moderne), gli oli raffinati (estratti chimicamente dai semi o dai frutti oleosi), o che addirittura non esistono in natura (come certi grassi che entrano nella composizione delle margarine, o come certi sostituti sintetici dei grassi che non essendo assimilabili dall‟intestino consentirebbero, secondo la pubblicità, di continuare a mangiare schifezze senza paura di ingrassare). Questo modo di mangiare sempre più “ricco” di calorie, di zuccheri, di grassi e di proteine animali, ma in realtà “povero” di alimenti naturalmente completi, ha contribuito grandemente allo sviluppo delle malattie tipiche dei paesi ricchi: l‟obesità, la stitichezza, il diabete, l‟ipertensione, l‟osteoporosi, l‟ipertrofia prostatica, l‟aterosclerosi, l‟infarto del miocardio, le demenze senili, e molti tumori, fra cui i tumori dell‟intestino, della mammella, della prostata.
L‟uomo, in realtà, ha sempre mangiato anche cibo animale, ma se si eccettuano alcuni popoli nomadi, o quelli che vivono in condizioni ambientali estreme per freddo o per altitudine, sono ben pochi gli esempi di alimentazione tradizionale con un‟alta quota di cibo animale. Anche il latte, che oggi in Occidente è alimento quotidiano, dai più era consumato solo occasionalmente, perché non poteva essere conservato ed era facile veicolo di infezioni. È stato solo alcuni decenni dopo la scoperta della pastorizzazione, in pratica dopo la prima guerra mondiale, che ha cominciato ad essere distribuito nelle città. Ma molti popoli ancor oggi non bevono più latte dopo lo svezzamento. La cultura medica, giustamente preoccupata del grave stato di denutrizione che imperversava nelle nostre campagne e nei quartieri popolari delle città nei primi decenni del secolo, ha avuto un ruolo importante nella promozione del cibo animale, e la disponibilità di latte e di carne, insieme al miglioramento delle condizioni igieniche delle abitazioni, ha probabilmente contribuito a migliorare lo stato nutrizionale e a difenderci dalle malattie infettive. Ma poi siamo andati troppo avanti su questa strada e il consumo di cibi animali e di cibi raffinati è entrato in una spirale di interessi produttivi e commerciali che ha completamente sovvertito le tradizioni alimentari dell‟uomo. Non vogliamo certo sostenere che si stava meglio quando si stava peggio, quando c‟era la fame e la povertà, ma piuttosto che la nostra ricchezza ci consentirebbe una varietà di dieta sufficiente a soddisfare appieno sia le nostre esigenze fisiologiche e nutrizionali sia il piacere della buona tavola senza sovraccaricarci di prodotti animali e di cibi impoveriti dai trattamenti industriali, che solo il plagio della pubblicità televisiva riesce a farci sembrare buoni.

Noi medici oggi siamo ricchissimi di conoscenze biologiche e farmacologiche, ma paradossalmente sembrano sapere sempre meno di nutrizione e abbiamo non poche responsabilità nell‟impoverimento della nostra alimentazione “ricca”. Molte convinzioni su cui noi medici basiamo le nostre prescrizioni dietetiche preventive non sono che pregiudizi, derivanti da una lettura superficiale della composizione chimica degli alimenti, e da una visione troppo semplicistica dell‟infinita complessità della natura e dell‟organismo umano. Analizziamo ad esempio alcune raccomandazioni comuni: i latticini per prevenire l‟osteoporosi in menopausa, la carne nel primo anno di vita per prevenire l‟anemia ferro, le margarine e gli oli di semi per ridurre il colesterolo, le vitamine per prevenire il cancro.
Verso i 50 anni di età le ovaie terminano la loro funzione per la riproduzione e smettono di produrre ciclicamente gli ormoni sessuali femminili le cui funzioni includono anche quella di mantenere una buona nutrizione di vari organi e tessuti tra cui le ossa. L‟organismo di molte donne fatica ad adattarsi a questa nuova condizione, spesso accompagnata da disturbi quali vampate di calore, improvvise sudorazioni, cambiamenti di umore, insonnia, ma anche da un rapido cambiamento dello stato di vitalità e di nutrizione di molti tessuti, in particolare della pelle, che perde elasticità (compaiono le rughe), delle mucose, specie degli organi sessuali (secchezza vaginale), e dell‟osso, che tende a farsi più debole e più fragile (osteoporosi). Al sopraggiungere della menopausa, specie nei primi anni, le ossa diminuiscono considerevolmente il loro contenuto di calcio. Pare logico, quindi, raccomandare, a questa età (ma anche prima, per non arrivare alla menopausa con poche riserve), un abbondante apporto di calcio con la dieta. Poiché il latte e i formaggi sono alimenti ricchissimi di calcio (nei formaggi stagionati come il parmigiano si arriva addirittura ad oltre un grammo di calcio per cento grammi di prodotto), molti medici raccomandano di mangiare tanto formaggio. Quel che dovremmo sapere sapere, però, è che la principale causa alimentare di osteoporosi non è la carenza di calcio, bensì l‟eccesso di proteine animali. Le proteine animali sono più acide di quelle vegetali3 e tendono ad acidificare il sangue.
L‟organismo è molto attento a mantenere un livello di acidità controllato perché ogni squilibrio avrebbe gravi conseguenze (ipereccitabilità neuromuscolare o tetania). Non appena le sostanze acide assorbite con gli alimenti superano la capacità di controllo dei bicarbonati presenti nel sangue, l‟osso libera dei sali basici di calcio per tamponare l‟eccesso di acidità. Le ossa, infatti, non hanno solo funzione di sostegno, ma hanno un ruolo importante nell‟equilibrio dei sali minerali. I tanto reclamizzati latticini sono certo ricchi di calcio, ma sono anche un concentrato di proteine animali.

Non esiste un solo studio che abbia documentato che una dieta ricca di latticini in menopausa sia utile ad aumentare la densità ossea e a prevenire le fratture osteoporotiche4. Alcuni studi hanno addirittura riscontrato che la frequenza di fratture in menopausa è tanto maggiore quanto è maggiore il consumo di carne e di latticini. Naturalmente rimane logico garantire un sufficiente apporto alimentare di calcio, purché non provenga solo dai latticini. Ne sono ricchissimi vari semi, soprattutto il sesamo5 e le mandorle, i cavoli, soprattutto i broccoli, i prodotti del mare, soprattutto le alghe (sempre più raramente mangiate in Occidente), ma anche il pesce (soprattutto i pesci piccoli e le zuppe di pesce dove si mangiano anche le lische), il pane integrale a lievitazione naturale6, i legumi.
Da decenni i pediatri insegnano alle mamme che nel secondo semestre di vita, dopo lo svezzamento, i bambini devono mangiare omogeneizzati o liofilizzati di carne allo scopo di prevenire l‟anemia da carenza di ferro. I bambini non sono d‟accordo ma non hanno voce in capitolo. La raccomandazione si basa su studi condotti negli anni „40, nei quali era stato accuratamente misurato il contenuto di ferro alla nascita e il contenuto di ferro nei bambini di un anno, e calcolato quindi il fabbisogno di ferro alimentare nel primo anno di vita. Studi successivi (condotti in soggetti adulti) dimostrarono che il ferro del latte e dei vegetali è meno assorbibile che non il ferro della carne. Moltiplicando la quantità di ferro contenuta nel latte materno e nelle pappe tradizionali per la frazione assorbibile, si concluse che l‟unico modo per garantire ai divezzi la quantità di ferro sufficiente al fabbisogno nel primo anno di vita è di nutrirli con 50 grammi di carne al giorno. Questi calcoli sono stati accuratamente trascritti nelle successive generazioni dei trattati di pediatria e nella pubblicità degli omogeneizzati dimenticando di riferire che, negli esperimenti originali, i bambini in cui si era valutata la quantità di ferro all‟età di un anno non avevano mangiato carne. Evidentemente i neonati e i divezzi hanno ben altre risorse di quelle che credono i pediatri e il loro intestino è capace di assorbire molto più ferro dal latte e dalle pappe di verdure e cereali di quanto prescritto dalla scienza accademica. Le nostre bisnonne lo hanno sempre saputo: se il buon Dio avesse voluto che i divezzi mangiassero carne avrebbe fatto loro crescere i denti7. È difficile dire quanto male abbiamo fatto ai nostri bambini con questa dieta forzata, ma certamente questa pratica ha contribuito alla diffusione del mito dell‟alimentazione carnea. La carne è certamente un ottimo alimento, ma l‟aumento del consumo di carne, in particolare di carni rosse, è uno dei fattori che ha contribuito a far aumentare l‟incidenza di molte malattie frequenti nelle popolazioni occidentali, come l‟aterosclerosi, l‟ipertensione, il cancro dell‟intestino.
Un grande studio epidemiologico iniziato negli anni „50, condotto in sette paesi del mondo a diversa incidenza di malattie di cuore, dalla Finlandia, ad altissima incidenza, all‟Italia, ad incidenza relativamente bassa, a Creta, dove il rischio era bassissimo, dimostrò che la dieta mediterranea, basata su cereali, verdure, legumi e, come principale fonte di grassi, olio di oliva, era associata a bassi livelli di colesterolo nel sangue e proteggeva dall‟angina pectoris e dall‟infarto. Negli anni successivi si dimostrò che mentre i grassi della carne bovina e dei latticini (i cosiddetti grassi saturi) fanno aumentare il livello di colesterolo nel sangue, gli oli di semi (contenenti grassi poli-insaturi) lo fanno abbassare. Anche in Italia e in Grecia i cardiologi cominciarono a raccomandare oli di semi e margarine, raccomandazione subito amplificata dagli interessi commerciali, senza considerare che l‟olio di oliva aveva praticamente lo stesso effetto sul colesterolo. Di nuovo non si può dire quanto questa nuova cultura alimentare abbia influenzato lo stato di salute, ma certamente ha favorito il consumo di cibi raffinati e innaturali. I semi oleaginosi sono un ottimo alimento, ma gli oli di semi normalmente consumati, sono stati depauperati di molte sostanze potenzialmente protettive presenti nei semi, fra cui buona parte della vitamina, e nel processo di produzione delle margarine si formano acidi grassi particolari, inesistenti in natura, fortemente sospettati di aumentare, invece che diminuire, il rischio di infarto.

Le principali conoscenze che la scienza medica ha potuto solidamente confermare, in decenni di ricerche cliniche ed epidemiologiche sul ruolo dell‟alimentazione nella genesi delle malattie croniche che caratterizzano il mondo moderno, si possono riassumere in poche raccomandazioni preventive: più cereali integrali, legumi, verdura e frutta fresca, meno zuccheri e cereali raffinati, meno carni, latticini e grassi animali, meno sale e meno alimenti conservati sotto sale. A partire dagli anni „70, numerose ricerche epidemiologiche, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone e studiato decine di migliaia di casi di tumore, hanno confermato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che chi mangia più verdure si ammala meno di cancro rispetto a chi mangia poche verdure. Ciò vale per la maggior parte dei tumori, in particolare quelli dell‟apparato digerente (cavo orale, faringe, esofago, stomaco, intestino) e quelli dell‟apparato respiratorio (laringe e polmoni). Un‟alimentazione ricca di verdure, quindi, può proteggere anche dai tumori dovuti al tabacco e all‟inquinamento: un forte fumatore ha un rischio fino a venti volte superiore di ammalarsi di cancro polmonare rispetto a un non fumatore, ma mangiando quotidianamente verdure può dimezzare il suo rischio (che rimane però molto alto se non smette di fumare). Le verdure e i cibi vegetali proteggono probabilmente attraverso numerosi meccanismi, ma il più importante (o almeno il più studiato) è legato al contenuto di sostanze antiossidanti, fra cui vitamina C, vitamina E, beta-carotene (precursore della vitamina A) e altri carotenoidi, vari polifenoli, composti solforati, che impediscono l‟attivazione di molte sostanze cancerogene e proteggono le strutture cellulari e lo stesso DNA dall‟aggressione di sostanze ossidanti che si generano nei normali processi metabolici. L‟osservazione che l‟insorgenza del cancro del polmone nei fumatori sembrava contrastata soprattutto da verdura e frutta ad alto contenuto di beta-carotene (di cui sono ricchissime le carote e tutta la verdura gialla e rossa, ma anche la verdura verde scura), ha fatto sorgere l‟ipotesi che lo stesso effetto si potesse ottenere con alte dosi farmacologiche di beta-carotene e ha condotto ad esperimenti preventivi i cui risultati sono stati drammatici. In Finlandia, trentamila volontari, forti fumatori, sono stati suddivisi a caso in quattro gruppi di circa 7500 persone ciascuno: un gruppo avrebbe preso quotidianamente una pillola con 25 mg di beta-carotene, un gruppo una pillola di alfa-tocoferolo (vitamina E), un gruppo una pillola contenente entrambe le sostanze e un gruppo una pillola placebo (cioè senza nessuna vitamina). Lo studio era condotto in doppio cieco, in modo che né i partecipanti né i medici incaricati della loro sorveglianza sapessero chi stava prendendo cosa, ma un comitato etico aveva accesso ai codici e teneva sotto controllo l‟operazione. Lo studio fu interrotto dopo otto anni, quando fu chiaro che, contrariamente all‟atteso, il beta-carotene era associato a una frequenza maggiore (del 18%) di carcinoma polmonare. Anche l‟infarto era aumentato in chi prendeva la pillola di beta-carotene, mentre in chi prendeva vitamina E erano più frequenti le emorragie cerebrali. Non appena resi noti questi risultati, venne interrotto uno studio simile in corso negli Stati Uniti d‟America (in cui si associava beta-carotene e vitamina A); anche in questo caso, il cancro del polmone e l‟infarto risultarono più alti nel gruppo di persone trattate rispetto al gruppo di controllo, con una mortalità complessiva più alta del 18%. Decine di studi di chemioprevenzione, condotti somministrando pillole di questa o quella vitamina o cocktail di vitamine e sali minerali potenzialmente preventivi, hanno dato risultati deludenti. Anche gli studi che hanno cercato di prevenire i polipi e il cancro dell‟intestino somministrando preparati vari di crusca o altre fibre vegetali sono stati fallimentari, e in alcuni casi i polipi sono addirittura aumentati anziché diminuire. Questi risultati sono solo apparentemente in contrasto con gli studi epidemiologici che hanno mostrato un minor rischio di malattia in chi ha una dieta ricca di fibre, di vitamine, e di altri nutrienti essenziali. Essi indicano semplicemente che non siamo in grado di catturare in una pillola la meravigliosa complessità della natura, e che corriamo dei rischi in particolare quando usiamo dosi alte rispetto a quanto l‟uomo può assumere col cibo. Perché la prevenzione non è come la tossicologia: se usiamo un veleno, più alta è la dose maggiore sarà l‟effetto, ma se una sostanza fa bene non è detto che continui a far bene se ne assumiamo in grandi quantità.

La più grande sconfitta della medicina nutrizionale è probabilmente l‟obesità, che nonostante una infinità di ricerche per trovare farmaci e diete efficaci, continua ad aumentare e gli obesi che riescono a dimagrire quasi inevitabilmente recidivano e tornano ad essere grassi e chi è sovrappeso si ammala di più di malattie di cuore, di diabete, e di molti tumori. In teoria per dimagrire è sufficiente mangiare poco: la scienza dell‟alimentazione vorrebbe che per ogni sette calorie a cui si rinuncia a tavola si dovrebbe perdere un grammo di ciccia, ma in realtà le cose sono più complicate. Da che mondo è mondo, l‟uomo si è sempre scontrato con il problema della fame, ma solo da pochi decenni sta scontrandosi con il problema di aver troppo da mangiare. La nostra fisiologia, quindi non è attrezzata per difenderci dall‟obesità.
Quando perdiamo peso, anzi, l‟organismo mette subito in atto degli automatismi protettivi che cercano di impedirci di perderne ulteriormente: inavvertitamente tendiamo a ridurre il dispendio energetico riducendo l‟attività fisica, producendo meno calore, migliorando l‟efficienza metabolica. È come se l‟organismo si preparasse al peggio, al rischio di carestia. Infatti, chi si mette seriamente a dieta, in genere riesce a perdere anche molti chili in pochi giorni ma poi, pur continuando a mangiare la stessa dieta ipocalorica, non dimagrisce più, e per mantenere il peso raggiunto deve mangiare meno di chi quel peso l‟ha sempre avuto; almeno fino a quando l‟organismo non si sarà assestato ad un altro livello di equilibrio, ma ciò può richiedere molto tempo.
Nella dieta sono soprattutto i grassi che fanno ingrassare. A parità di peso, i grassi forniscono più energia delle proteine e dei carboidrati - 9 contro 4 calorie per grammo - e chi mangia cibi grassi tende a mangiare di più di chi mangia cibi magri. Anche chi mangia molti zuccheri e farine raffinate tende ad ingrassare specie se associati ai grassi. Gli zuccheri infatti fanno aumentare i livelli ematici di insulina, che se da un lato fa sì che gli zuccheri vengano bruciati, dall‟altro favorisce l‟immagazzinamento dei grassi in eccesso nel tessuto adiposo10. La soluzione è mangiare meno grassi animali11, meno zuccheri, più verdure, più semi e cibi integrali. I cibi integrali aiutano chi vuole dimagrire, perché da un lato le fibre che contengono, rigonfiandosi nello stomaco e nell‟intestino, danno un maggior senso di sazietà, e dall‟altro favoriscono un assorbimento lento e graduale degli zuccheri, prevenendo cadute dei livelli di glucosio nel sangue (la glicemia) che farebbero aumentare il senso di fame. Chi invece mangia zuccheri e farine raffinate (ad esempio fa colazione con caffelatte zuccherato, biscotti e marmellata) va incontro ad un rapido aumento della glicemia che determina un‟immediata iperproduzione pancreatica di insulina che a sua volta fa abbassare la glicemia, determinando un senso di fame che porta ad introdurre nuovamente zuccheri (il cappuccino con il cornetto a metà mattina) che però fanno immediatamente rialzare la glicemia e quindi l‟insulina, determinando una nuova fase di ipoglicemia (per cui si arriva a pranzo con il buco nello stomaco) e cosi via in un circolo vizioso che alla lunga può portare all‟obesità.

Un alto contenuto di fibre nella dieta offre un aiuto nel controllo dell'appetito, dà un senso di sazietà, e quindi contribuisce al controllo del peso corporeo.
Per interrompere questo circolo vizioso e assestare l‟equilibrio dell‟organismo su un peso più basso, non basta mettersi a dieta ipocalorica per qualche settimana, occorre mettersi a mangiare bene e non smettere più. Non c‟è bisogno di far la fame né di rinunciare ai piaceri della tavola, ma occorre rieducare il gusto (riscoprire i gusti semplici) e le abitudini corrotte dalla pubblicità, senza fretta, ma con determinazione.
È utile cominciare riscoprendo le ricette della dieta mediterranea povera, avvicinandosi alle ricette macrobiotiche, variando molto però i menu. Se a colazione piace il latte, un giorno si potrà mangiare latte di mucca, ma gli altri giorni latte di soia (per abituarsi al gusto è consigliabile mescolarlo con un succo di frutta, o di carota, o con il muesli o con i fiocchi di cereali), latte di mandorle, latte di riso o di avena, con pane integrale, marmellate senza zucchero, farinata di ceci, frutta fresca e secca. A pranzo si può iniziare con una zuppa, o d‟estate con un‟insalata, che può essere ogni giorno diversa, e far seguire una pasta o un riso integrale con le verdure (la pasta e il riso ci forniranno gli zuccheri da bruciare per tutto il resto del giorno). A cena sarà bene invece fornire un po‟ più di proteine, ad esempio un piatto di cereali e legumi integrali, oppure raffinati sotto forma di seitan e tofu, oppure pesce, più raramente uova, o carne (meglio bianca), o formaggio fresco; il tutto accompagnato da verdure (poco) cotte o zuppa di verdure. Meglio non mangiare la frutta a fine pasto (che può fermentare e rallentare la digestione), ma possiamo mangiarne fra i pasti o prima dei pasti.
Questi principi alimentari aiuteranno a prevenire e a curare innumerevoli disturbi intestinali e squilibri metabolici e ormonali che caratterizzano l‟uomo contemporaneo. E molto probabilmente aiuteranno a prevenire molti tumori.

(CONTINUA...)

Franco Berrino
Direttore del Dipartimento di Medicina Predittiva e per la Prevenzione
Fondazione IRCCS Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
MILANO

CURRICULUM VITAE ED ATTIVITA' PROFESSIONALE

Dr.ssa Sara Campolonghi
Psicologa, coach alimentare e specialista in Comportamento alimentare e Gestione del peso corporeo

Laureata presso l'Università degli Studi di Padova
Iscriz. Albo Psicologi Lazio n.17094

Colloqui e consulenze individuali e familiari presso studi privati a Roma e Piacenza.

Incontri di gruppo e attività pratiche su salute alimentare, stile di vita e gestione del peso
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Membro di ASAS Salute, Associazione per la Salute correlata ad Alimentazione e Stili di Vita.

Collabora con le Associazioni, Giustopeso Italia, FIAF-SIAF Roma, Associazione Diabetici Piacentini.

Gestisce il sito http://coachalimentare.it e scrive per vari blog e siti web: www.nonsprecare.it, www.filippo-ongaro.it, http://oltrelostretto.blogsicilia.it.

Educatrice alla Salute Alimentare per il Progetto Europeo HCSC, Healthy Children in Sound Communities
, prima edizione italiana, presso il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma. Promosso da FIAF, Federazione Italiana Aerobica e Fitness. 2010-11

Formatore per Formatori sportivi nel Progetto E.A.T. - Educazione Alimentare e Training, approvato e promosso dalla Regione Lazio (con determinazione dirigenziale D2276 del 18/06/2010 codice RL003091). 2011

Ha lavorato presso i Reparti di Dietologia e Diabetologia dell'Ospedale Sandro Pertini di Roma: percorsi individuali e familiari per il cambiamento delle abitudini e stile di vita di persone con obesità o sovrappeso, diabete gestazionale e corsi di Educazione Terapeutica con pazienti diabetici di tipo 2 e micro-infusore. 2010-11

E-mail: sara.campolonghi@gmail.com
Cell. +39 328 89 69 351
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